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  • Danni da cinghiale all’agricoltura, pagheranno i cacciatori

    ABRUZZO – Tempi duri per i cacciatori, che potrebbero ritrovarsi a pagare parte dei danni se nel territorio della regione continuano a circolare troppi cinghiali. Sì, perché potrebbero essere chiamati a versare contributi economici per finanziare le attività connesse ai piani di riduzione del numero dei cinghiali all’interno degli ambiti territoriali di caccia.
    A stabilire la legittimità dell’eventuale richiesta di contributi è una sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato, emessa lo scorso 5 luglio.
    A ricorrere è stato l’Ambito territoriale di caccia numero 3 Ternano-Orvietano, che ha citato davanti ai giudici amministrativi la Regione Umbria, per annullare quella parte del regolamento che prevede l’istituzione del fondo per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria. Il ricorso, già respinto in primo grado, non ha avuto miglior esito in appello.
    IL PRECEDENTE. La pronuncia del Consiglio di Stato rappresenta un precedente molto significativo, anche per l’Abruzzo.
    E lo è, soprattutto, alla luce dell’articolo 6 del regolamento abruzzese del 2017, come spiega Giacomo Di Domenico, presidente dell’Atc Avezzano. «L’articolo 6 stabilisce che qualora la Regione verifichi la mancata o carente attuazione delle attività di prevenzione dei danni arrecati dai cinghiali», osserva Di Domenico, «i cacciatori possono essere tenuti a versare un contributo al fine di concorrere agli oneri risarcitori». Il salasso può raggiungere sia chi esercita la caccia al cinghiale in forma individuale, sia chi lo fa in forma collettiva (braccata, ndr). Perfino i selecontrollori potrebbero ritrovarsi a pagare, se le loro doppiette non garantiscono la riduzione del numero degli esemplari.
    LA SENTENZA. Il principio alla base della decisione della terza sezione è semplice: non si arriverebbe a chiedere il contributo ai cacciatori se si facesse buon uso della quota dei finanziamenti della Regione e se il contenimento della popolazione dei cinghiali attraverso la caccia non avesse fallito.
    LA CACCIA. In Abruzzo, spiega ancora Di Domenico, gli interventi di riduzione della popolazione di cinghiale si svolgono secondo un preciso calendario per buona parte dell’anno.

    IL CALENDARIO.«Da febbraio a settembre», dice, «c’è la caccia di selezione, svolta da un singolo cacciatore abilitato. A ottobre si apre la caccia classica, con i cani e le battute, che termina il 31 dicembre oppure il 31 gennaio, se si è aperta a novembre. Tutti gli abbattimenti vengono effettuati in base ai piani di prelievo approvati dall’Ispra. In questo lasso di tempo, bisogna aggiungere che è attivo il selecontrollo, che si svolge quando agricoltori e cittadini subiscono danni, o quando il sindaco stesso riceve segnalazioni in tal senso. In questo caso si interviene senza tenere conto del sesso e dell’età dell’animale. Insomma, con il selecontrollo, tutto ciò che è cinghiale deve essere abbattuto».
    I SOLDI. «Tornando ai danni e all’ipotesi di applicare sanzioni economiche se non si raggiungono i risultati attesi», conclude Di Domenico, «credo che bisogna avere pazienza, perché per fare le cose ci vuole tempo, soprattutto quando si lavora sul fattore umano. Tra l’altro, a proposito della caccia di selezione, bisogna pensare che gli accordi con il Pnalm per la zona di protezione esterna sono stati conclusi solo due mesi fa».

    di Angela Baglioni su Il Centro

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