• Editoriale
  • La febbre che uccide: l’ebola

    Un oscuro e funesto terrore circola, come un fiume carsico inarrestabile, nelle vene di tutti i popoli mondiali.

    La storia ha già attraversato momenti di questo genere e ne ricorda appunto con paura i percorsi insidiosi e le conclusioni fatali.

    Ricordo la “Spagnola” negli ‘10 del secolo passato e le bibliche pesti raccontate mirabilmente dal Manzoni.

    Tutti hanno paura di tutti: l’uno cerca di scostarsi dall’altro; darsi le mani è assolutamente vietato e il porsi solo a distanza di qualche metro dall’infetto, può diventare un pericolo fatale.

    Una paura di tal genere, se dovesse per disavventura aumentare, provocherebbe disastri terribili nelle relazioni sociali, nei rapporti interpersonali, probabilmente, nella stessa interna compagine di una famiglia.

    Le riunioni, le associazioni, i viaggi nella metro, in aereo, in pullman, qualunque altra forma, come nella manzoniana biblica storia, potrebbero essere causa ed origine di una diffusione crescente.

    Addio clubs, addio allegre brigate sulle navi da crociera, addio i trasferimenti transoceanici in aereo: il terrore pervaderebbe tutto e tutti: le aule del parlamento, le assemblee delle varie istituzioni: salvifica e protetta sarebbe soltanto la comunicazione digitale, l’unica forma asettica e immune dal contagio.

    Potrebbe accadere, da un momento all’altro – e non vuole essere terrorismo ulteriore da aggiungere a quello naturale già sommerso – che il virus da Madrid, improvvisamente, piombi nell’aeroporto di Malpensa, di Fiumicino, di Atene, o di Mosca o di Calcutta o di Cuba o di New-York.

    Questo nemico invisibile, che opera con maggiore precisione di quanto non operino gli sterminati arsenali di Kalashnikov, presenti nel mondo, è difficilmente resistibile.

    Esso miete tutte le sue vittime in modo silenzioso, crudele e nella forma più sanguinaria, di quanto le guerre stesse non riescano a produrre.

    Appare la febbre, l’emorragia ed è la fine.

    Mi riesce difficile credere che il virus sia macchinato e creato in segreti laboratori, sparsi magari sotto le montagne del monte Tabor, del Caucaso o altrove, sebbene tutto, in questa società alienata e malvagia, sia possibile.

    Che Dio ce la mandi buona!

     

    di Franco Cianci

     

     

     

     

     

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