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  • Profughi mandati via, il paese si ribella contro la Prefettura

    (ANSA) – RIPABOTTONI (CAMPOBASSO), 19 GEN – “In paese c’è tanto sdegno, la gente sente la mancanza di questi ragazzi”. Patrizia Pano, ex direttrice del Centro di accoglienza straordinaria (Cas) ‘Xenia’ di Ripabottoni, racconta così all’ANSA quello che accade in paese nei giorni successivi alla chiusura del Cas e al trasferimento di 32 migranti in altre strutture della provincia di Campobasso. “Da noi l’integrazione si era realizzata – prosegue – e non descritta”. Poi, racconta alcuni momenti che hanno caratterizzato la vita del piccolo paese. I migranti erano parte integrante nei cori delle due chiese, quella cattolica e protestante, praticavano l’attività sportiva in una scuola calcio, prendevano parte a vari incontri. Talmente integrati, dunque, fino al punto che uno di loro ha partecipato alla serenata, sotto la casa di una sposa di Ripabottoni, suonando insieme ad altri ragazzi del paese il Bufù, uno strumento musicale della tradizione popolare molisana, mentre il futuro sposo intonava le canzoni. “Questa è vera integrazione – commenta Pano – le belle parole le lasciamo ai relatori che si alternano nei vari convegni sul tema”. “In questa storia – prosegue – sono emersi tanti lati negativi. Nella nostra comunità c’è stato un trauma, ancora oggi continuiamo a cercarci sui social per mantenere inalterato e sempre ben saldo il nostro rapporto di amicizia”. Poi, un riferimento alla politica “che in questo caso c’entra ben poco”, ma nello stesso tempo stigmatizza l’atteggiamento dell’Amministrazione comunale “cieca, che non ha visto quello che di buono c’era, è riuscita a far chiudere il Centro e non ha sposato la causa”. In questa vicenda, però, c’è anche un altro elemento “che va tenuto in seria considerazione”. “Ci sono 16 ragazzi del posto, tra figure professionali e operatori che hanno scelto di rimanere a Ripabottoni decidendo di non fare la classica valigia e trasferirsi al nord, che ora si ritrovano senza lavoro”. L’ex direttrice pone poi l’accento sulla motivazione che ha determinato la chiusura del Centro, ricordando che a Casacalenda (Campobasso) “ci sono un Cas e uno Sprar che continuano a essere presenti sul territorio perché probabilmente non c’è un sindaco che rema contro”. La petizione, con le relative firme, è stata consegnata alla Prefettura di Campobasso il 10 gennaio. “In quella circostanza – spiega Pano – abbiamo chiesto anche un incontro con il funzionario che aveva firmato il provvedimento, ma ci è stato negato perché era necessario prendere un appuntamento”. In questa storia, anche un piccolo ‘giallo’. “Il giorno del trasferimento, l’11 gennaio, sono state avviate le procedure, poi è arrivata una telefonata, probabilmente dalla Prefettura, e tutto si è fermato, una specie di contrordine. Alcuni ragazzi (8) dopo essere partiti a bordo di un pullmino per la loro nuova destinazione, sono tornati a Ripabottoni. Scene e lacrime di gioia – racconta Pano – poi nel pomeriggio sono riprese le operazioni di trasferimento. Lascio a voi immaginare il resto”, conclude.

    STRUTTURA CHIUSA l’11 GENNAIO

    Arrivati da Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Mali e Nigeria e perfettamente integrati a Ripabottoni, 32 migranti si sono visti chiudere la struttura che li accoglieva e l’11 gennaio sono stati trasferiti in comuni vicini. Ma ogni giorno, all’ormai ex direttrice del Centro di accoglienza straordinaria (Cas) Patrizia Pano scrivono su Facebook “Ci manchi, ci manca Ripabottoni”. E anche loro mancano agli abitanti che in 152, su circa 500, con una petizione hanno chiesto alla Prefettura di Campobasso di farli tornare. Ma Ripabottoni è già sede di Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), non può ospitare anche un Cas, sarebbe la motivazione all’origine del provvedimento. Danilo Leva (LeU) ha scritto al ministro Minniti: “Questa storia di integrazione è stata bruscamente interrotta dall’iniziativa del sindaco che ha ottenuto la dismissione del Centro. Ma davanti a esempi positivi di accoglienza, le istituzioni devono incentivare le buone pratiche, non reprimerle”.

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